L’mpatto della natura sulla salute mentale

Gli occidentali? Una massa di psicopatici.

È ciò che si potrebbe concludere, dati alla mano, analizzando il numero delle persone affette da patologie depressive. I dati di vendita degli psicofarmaci sono in costante aumento e i numeri sono ovunque preoccupanti. Nel mondo, ma prevalentemente in occidente, sono oltre 300 milioni le persone affette da depressione (dati OMS), il 4,4% del totale. Nel nostro paese, stando a quanto affermano il CNR e l’Agenzia Italiana per il Farmaco, i soggetti affetti da depressione sfiorano il 20% della popolazione. Undici milioni sono le persone che assumono ogni giorno farmaci antidepressivi: un valore quattro volte superiore alla media europea (dati del 2014). Ma non va affatto meglio per i nostri alleati d’oltreoceano: negli USA quasi un cittadino su cinque riferisce una qualche forma di malattia mentale.

Depressione (1)L’impatto della natura sulle persone affette da disturbi depressivi

Per questo motivo un gruppo di ricercatori della Perelman School of Medicine e della School of Arts & Sciences presso l’Università della Pennsylvania, insieme ad altre istituzioni, visti i numerosi studi accademici che da più parti del mondo correlavano la qualità della salute mentale con la presenza di spazi verdi, ha deciso utilizzare il Kessler Psychological Distress Scale (uno strumento di screening utilizzato per valutare le malattie mentali nelle comunità) per determinare se, cambiando i luoghi vicino a dove le persone vivono, potrebbe essere influenzata la salute mentale e i risultati, pubblicati sul pubblicati su JAMA Network Open, sono stati sorprendenti. Lo studio è stato svolto nella città di Filadelfia e ha riguardato la riqualificazione di 541 lotti abitativi abbandonati e la conseguente variazione della percezione dello stato depressivo delle persone residenti nell’area. I lotti sono stati suddivisi in tre categorie:

  • un terzo è stato riqualificato e destinato a verde urbano
  • un terzo è stato solo ripulito dalla spazzatura
  • un terzo è stato lasciato in condizioni di abbandono.

Le indagini sono state effettuate 18 mesi prima che i lotti venissero lavorati e poi 18 mesi dopo. Ebbene coloro che vivevano nel raggio di 400 metri dai 206 lotti del tipo 1 hanno avuto una diminuzione media del 41,5% della percezione di depressione e una diminuzione quasi del 63% di altre patologie mentali rispetto a coloro che vivevano vicino ai lotti che non erano stati ripuliti. E, ancor più sorprendente, nelle aree al di sotto della soglia di povertà la percezione di depressione tra i residenti che vivevano vicino ai nuovi lotti verdi era diminuita di oltre il 68%. Il verde, dunque, non solo migliora la qualità di vita, ma agisce anche da livella sociale, favorendo gli strati più poveri della popolazione. Il dato più significativo della ricerca risiede però nel fatto che la salute mentale percepita dagli intervistati che vivevano vicino ai lotti del tipo 2 non si distanziava di molto da quella dei soggetti vicini ai lotti del tipo 3, suggerendo che il valore stava proprio nella creazione dello spazio verde fruibile. “Spazi fatiscenti, vuoti e privi di natura sono fattori che espongono i residenti ad un maggior rischio di depressione e stress e possono spiegare perché persistono disparità socioeconomiche nella malattia mentale,” afferma l’autrice dello studio Eugenia South. “Ciò che questi nuovi dati ci mostra è che i cambiamenti strutturali, come l’ecologizzazione dei lotti, hanno un impatto positivo sulla salute di coloro che vivono in questi quartieri e ciò può essere realizzato in modo economico e scalabile, non solo a Filadelfia ma in altre città con gli stessi dannosi aspetti ambientali. Cambiare i luoghi in cui le persone vivono, lavorano e giocano può avere ampi effetti a livello di popolazione sugli esiti della salute mentale.”

Vivere vicino ad aree verdi dunque, fa la differenza in termini di salute mentale e quella di Filadelfia non è l’unica evidenza. Uno studio condotto nel Regno Unito su oltre 94 mila pazienti affetti da disturbo mentale dai 37 ai 73 anni, pubblicato su The Lancet Planetary Health, ha utilizzato i dati della biobanca britannica per indagare i collegamenti tra esposizione al verde e salute mentale ed è giunto pressoché alle stesse conclusioni. Nelle persone prese in esame la natura aveva un effetto protettivo sui disturbi psichici, traducendosi in una minore probabilità di sviluppare depressione, specialmente tra le donne, in soggetti di età inferiore ai 60 anni e in persone che risiedono in aree con basso status socioeconomico o molto urbanizzate. Lo studio ha riportato una probabilità inferiore del 4% di incorrere in disturbo depressivo maggiore per ogni incremento percentile nella presenza di aree verdi. Niente di nuovo se non nel metodo di indagine. Diversi studi avevano infatti già esaminato il collegamento tra l’esposizione ad ambienti naturali e la salute mentale e la maggior parte di essi aveva evidenziato gli effetti benefici che le persone potevano ottenere dalla fruizione di questi ambienti, elaborando modelli di risposta allo stress che evidenziano il legame tra patologie depressive e il deficit di natura.

L’effetto anti-stress della natura è stato confermato anche da uno studio dell’Università di Exeter Medical School. Secondo la ricerca, i pazienti affetti da demenza hanno tratto notevoli benefici dai giardini naturali all’interno della clinica presa in esame. In particolare, gli effetti positivi riguardavano la riduzione dello stato di agitazione e la promozione della capacità di rilassarsi.

anzianiL’impatto sulla popolazione in età senile

Sulle persone anziane gli effetti non sono da meno, ce lo hanno dimostrato i ricercatori delle Università di York e Edimburgo che hanno condotto uno studio, pubblicato sulla rivista International Journal of Environmental Research and Public Health, sugli effetti cognitivi che hanno i contesti urbani sugli over 65. Il lavoro degli scienziati britannici è parte di un progetto più ampio denominato Mobility, Mood and Place (MMP), finanziato dall’Engineering and Physical Sciences Research Council (EPSRC) e dal Research Councils UK grazie al Lifelong Health and Wellbeing Cross-Council Programme. L’intera iniziativa va inquadrata nelle direttive dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per affrontare le sfide poste dal progressivo invecchiamento della popolazione. Si stima, infatti, che entro il 2050 il 22% della popolazione al mondo avrà più di 60 anni, una percentuale doppia rispetto a oggi. Per raccogliere i dati i ricercatori si sono affidati ai test di autovalutazione, alle interviste e a un insolito utilizzo dell’elettroencefalografia (EEG). In particolare, otto dei 95 partecipanti allo studio (tutti di età uguale o superiore ai 65 anni) hanno indossato un sistema EEG portatile che ha registrato l’attività cerebrale lungo un percorso che attraversava zone fortemente urbanizzate e aree verdi. Le passeggiate sono state filmate e, a distanza di una settimana, è stato chiesto agli otto partecipanti, mentre era proiettato il video della loro camminata, di descrivere lo stato d’animo che provavano in quei momenti, quello che avevano notato e come si erano sentiti. Le interviste sono risultate necessarie per verificare le informazioni raccolte dall’elettroencefalografia. I ricercatori hanno infatti notato come i dati interpretati dallo strumento utilizzato mostrassero differenze significative tra i momenti passati nei parchi e quelli in zone urbane. A seguito delle interviste è apparso ancora più chiaro come i partecipanti provassero sensazioni positive durante il passaggio in aree verdi.

La natura e l’aspettativa di vita

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Ma il contatto con la natura sembra addirittura collegato con l’allungamento dell’aspettativa di vita. Del resto c’era da aspettarselo: la vicinanza con la natura riduce lo stress, migliora la salute mentale, riduce il rischio di malattie cardiovascolari e di sindrome metabolica e protegge dalla mortalità prematura per tutte le cause. Sono stati i ricercatori del Barcelona Institute for Global Health (ISGlobal), in collaborazione con la Colorado State University e l’Organizzazione Mondiale della Sanità a trovare nella letteratura scientifica prove inconfutabili degli effetti benefici del verde sulla salute e la longevità. Per avere risultati particolarmente convincenti, gli scienziati spagnoli hanno selezionato per la loro review le ricerche più indicative e affidabili che esistano, i cosiddetti “studi longitudinali”, indagini che monitorano la salute dello stesso campione di individui per un lungo periodo di tempo. Ne sono state individuate 9, condotte in 7 Paesi (Canada, Stati Uniti, Spagna, Italia, Australia, Svizzera e Cina) per un totale di 8 milioni di persone. I dati sulla mortalità prematura per  tutte le cause sono stati incrociati con quelli delle immagini satellitari per calcolare l’impatto del verde sull’aspettativa di vita e i risultati, pubblicati su The Lancet Planetary Health, sono un invito a riempire i quartieri delle città di aiuole, giardini e parchi. Perché secondo i ricercatori anche un piccolo aumento del verde intorno alla casa è associato a una riduzione significativa della mortalità prematura. Più precisamente: ad ogni incremento di 0,1 nell’indice che misura la vegetazione, il Normalised Difference Vegetation Index, entro 500 metri dall’abitazione, corrisponde una riduzione del 4% di mortalità prematura per ogni causa.

La natura e lo sviluppo psicofisico di bambini e adolescenti

img_20190908_1500225136750346296892070.jpgE per i “sani di mente”? La natura ne ha per tutti e incide positivamente anche su chi non presenta alcun tipo di disturbo depressivo, contribuendo a mantenere l’equilibrio psicofisico tanto dei soggetti a rischio quanto di quelli sani. Secondo gli studi di Ryan et. al. (2010) stare in natura ci rente più attivi, energici e vitali. Lo conferma ancora una volta uno studio condotto da un team dell’università danese di Aarhus, che afferma che i bambini che vivono in aree prive di verde hanno il 55% di probabilità in più di sviluppare disturbi mentali. Basandosi su dati satellitari raccolti dal 1985 al 2013, i ricercatori hanno mappato la presenza di spazi verdi intorno alle case di quasi un milione di bambini danesi e hanno confrontato questi dati con il rischio di sviluppare uno dei 16 diversi disturbi mentali più avanti nella vita. I ricercatori sapevano da tempo che il rumore, l’inquinamento atmosferico, le infezioni e le cattive condizioni socio-economiche aumentano il rischio di sviluppare un disturbo mentale. Al contrario, altri studi avevano dimostrato che localmente più spazi verdi creano una maggiore coesione sociale e aumentano il livello di attività fisica delle persone e che questo può migliorare lo sviluppo cognitivo dei bambini. Tutti fattori che possono avere un impatto sulla salute mentale delle persone. “Con il nostro dataset, dimostriamo che il rischio di sviluppare un disturbo mentale diminuisce progressivamente quanto più a lungo si è stati circondati da uno spazio verde dalla nascita fino all’età di 10 anni. Durante l’infanzia, lo spazio verde è quindi estremamente importante”. Anche l’Istituto Mondiale per la Salute Mentale di Barcellona sostiene che i bambini che vivono in quartieri ricchi di verde hanno un migliore sviluppo intellettivo. In uno studio condotto su 1.500 bambini di Sabadell, una città situata nella Catalogna, in provincia di Barcellona e altrettanti di Valencia, sulla costa orientale della Spagna, i ricercatori hanno seguito gli stessi soggetti per 10 anni tra il 2003 e il 2013: i bambini avevano rispettivamente tra i quattro e i cinque anni e poi sette quando sono stati sottoposti a specifici test per lo sviluppo dell’attenzione e della memoria. Dai dati raccolti, pubblicati sulla rivista Environment Health Perspectives, è emerso che i bambini che vivevano in quartieri e case circondate da vegetazione hanno ottenuto risultati migliori rispetto a quelli che vivevano tra asfalto e cemento. L’Istituto per la Salute Mondiale di Barcellona non era nuovo a questo genere di ricerche e aveva già dimostrato come il giardino scolastico, se ben progettato, migliorasse lo sviluppo cognitivo dei bambini. Anche questa ricerca, basata sulla somministrazione di test per misurare le capacità di attenzione e di memoria di bambini tra i 7 e i 10 anni, evidenziava il legame tra capacità cognitive e vicinanza ad aree verdi. Lo stesso legame al quale erano giunti i ricercatori dell’Università del Massachusetts in una ricerca che aveva utilizzato il telerilevamento per desumere la copertura arborea del Massachusetts mettendolo poi in relazione con i risultati ottenuti con la media dei rendimenti scolastici dei bambini delle terze elementari degli istituti ricadenti nelle stesse aree (ne avevo parlato qui). E provate a indovinare? Gli studenti delle scuole più verdi ottenevano punteggi significativamente più alti dei loro colleghi meno green e, cosa ancora più interessante, anche gli studenti più poveri e con meno mezzi a disposizione raggiungevano tali punteggi se inseriti in un contesto più naturale. Solo in Italia i cortili scolastici sono oltre 40.000 e le scelte che le direzioni scolastiche operano relativamente alla gestione di tali spazi possono avere un impatto profondo sul paesaggio metropolitano, sulla vivibilità da parte dei cittadini e sulla biodiversità urbana, oltre che sull’educazione e l’apprendimento (ne parlo qui).

L’impatto della natura sulla funzionalità familiare

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L’esposizione alla natura sembra quindi avere un impatto benefico sulla salute e sullo sviluppo cerebrale fin dall’infanzia ma, come sottolinea una ricerca di due studiosi dell’Università dell’Illinois negli USA, anche la famiglia esce rafforzata da un’esperienza nel verde (ne ho parlato qui). Camminare nella natura infatti, rende il legame familiare più sereno. Per chi non può concedersi una vera e propria fuga dalla città non c’è da temere. Anche la presenza del verde nel quartiere rappresenta un valido alleato. Viali alberati o parchi cittadini diventano così oasi di benessere per ritemprarsi e ritrovare il proprio equilibrio interiore, lontani dal caos e dalla tecnologia.

E in futuro?

1563435551990Il contatto con gli ambienti naturali dunque influisce positivamente sulle nostre emozioni e sulla capacità di gestirle, eppure se il tasso di urbanizzazione continuerà ad essere quello attuale, entro il 2030 il 60% della popolazione globale risiederà in città sempre più congestionate e prive di verde. C’è anche da aspettarsi dunque che saranno sempre di più le persone affette da disturbi mentali, inclusi quelli dell’umore, con un sensibile aumento dei costi sanitari. Costi che potrebbero essere in larga parte evitati attraverso una pianificazione urbana più green, più responsabile, basata su dati e prove e che metta al centro la salute nella sua concezione più piena. Per questo un team internazionale di ricerca guidato dall’Università di Washington e dall’Università di Stanford, ha elaborato un modello che può consentire a urbanisti, architetti e progettisti di tutto il mondo di misurare concretamente i benefici apportati dalla natura alla salute mentale dei cittadini e integrarli finalmente nei piani e nelle politiche di sviluppo urbano per migliorare la vivibilità delle città e la salute mentale dei cittadini (ne ho parlato qui).

Oggi in Italia oltre 800.000 giovani (il 10% con percentuale in crescita) soffrono di disturbi depressivi e la metà di tutte le malattie mentali inizia all’età di 14 anni. Il suicidio è la seconda causa di morte tra i ragazzi tra i 15 e i 29 anni e, come educatori, il minimo che possiamo (e dobbiamo) fare è porci le giuste domande, riconoscere che le radici di questi problemi risiedono nelle scelte educative che abbiamo attuato negli anni appena precedenti e mettere in discussione non solo il nostro modello educativo, ammesso che siamo consapevoli di averne uno, ma anche la nostra concezione degli spazi urbani e della natura. E’ necessario costruire un futuro in cui la natura sia elemento costante di ogni tipo di progettazione, da quella urbanistica a quella educativa ed è fondamentale cominciare a costruirlo oggi. Altrimenti, come amministratori, genitori e come educatori, avremo perso.

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