La natura come sostegno all’autonomia di movimento infantile

Quanto sono liberi i vostri bambini di andare in giro da soli e allenare la propria autonomia di movimento fuori dal vostro controllo, magari col gruppo dei pari?

Quante volte, passeggiando in città, vi capita di vedere bambini e bambine camminare da soli o con gli amici senza la supervisione di un adulto?

In città, purtroppo, l’autonomia di movimento infantile é stata cancellata con un colpo di spugna nel giro di un ventennio ed un fenomeno che dovrebbe destare serie preoccupazioni è diventato invece socialmente accettato, quando non socialmente imposto.

Cosa intendiamo per “autonomia di movimento infantile”?

L’autonomia di movimento infantile è la libertà dei bambini di muoversi nei loro ambienti di vita senza la supervisione di un adulto (Hillman, 1990) ma anche di andare in bici, utilizzare il trasporto pubblico (Schoeppe, 2014) o semplicemente di giocare fuori casa e fuori dal controllo costante degli adulti (Marzi, Reimers, 2018).

Nelle civiltà più antiche i bambini venivano lasciati liberi di muoversi col gruppo dei pari già a partire dai 2,5/3 anni di età e ci sono ipotesi interessanti che interpretano la drastica riduzione della quantità di alimenti tipica di quell’età come forma di autotutela: nel momento in cui i bambini si affrancano dalla guida e dal controllo degli adulti, diventano anche più esposti al pericolo di ingerire piante o parti di esse potenzialmente tossiche, così un’istintiva avversione nei confronti di buona parte degli alimenti può rivelarsi strategica per la sopravvivenza.

Ancora 30 anni fa, i bambini erano liberi di stare per strada con i propri coetanei fin dall’età di 5 o 6 anni. Ora, invece, lasciare da solo un bambino di quell’età sarebbe impensabile in un contesto urbano come quello in cui viviamo. Nel report “Children’s Independent Mobility: an international comparison and recommendations for action”, i ricercatori del POLICY STUDIES INSTITUTE M. Hillman, J. Adams and J. Whitelegg, hanno monitorato l’andamento dell’autonomia di spostamento tra i 7 e i 15 anni in 16

paesi del mondo fin dal 1971, evidenziando un calo allarmante in tutti i paesi più sviluppati. Qualche esempio:

  • in Inghilterra l’autonomia di movimento si è ridotta dal 86 al 25% in appena quarant’anni,
  • altrettanto preoccupante il dato tedesco, con una riduzione dal 93 al 76% dell’autonomia infantile, e quello Finlandese, con una riduzione dal 85 al 65%.
  • In Italia nel 2002 soltanto all’11% dei bambini della scuola primaria era permesso percorrere da soli il tragitto tra casa e scuola (Tonucci), dato che è sceso al 7% nel 2011 (Alietti). Ma non va molto meglio nella fascia di età tra gli 8 e i 14 anni, nella quale solo il 22,4% dei bambini delle città con più di 50.000 abitanti può percorrere in autonomia la strada tra casa e scuola (Istat, 2017) mentre in tutta Italia il 62% dei bambini italiani viene accompagnato abitualmente in macchina (report Okkio alla salute, 2018).

Perché?

Per la paura. Paura del traffico, paura che incontrino estranei pericolosi, paura del giudizio di altri adulti (nonni, zii, vicini di casa).

L’ambiente urbano è effettivamente più pericoloso, sempre più a misura di macchine e sempre meno a misura di persone e la paura del traffico e degli incidenti automobilistici viene indicata come prima causa di contrazione dell’autonomia, ma quello che incide maggiormente sul crollo della mobilità autonoma sono le paure sociali e l’interpretazione del ruolo genitoriale (Johannson, 2006; Wolfe et al., 2016). Fino a pochi decenni fa i genitori consideravano proprio compito promuovere il più velocemente possibile l’autonomia del bambino, mentre oggi ritengono obbligatorio accompagnare e proteggere sempre e comunque i

propri figli anche se questo si ripercuote negativamente sull’organizzazione familiare e, spesso, sui rapporti sociali e interfamiliari. Complice delle ansie dei genitori è anche il sistema informativo: la comunicazione dai toni allarmistici spesso operata dai mass media sulla sicurezza delle strade, l’intensità del traffico e il pericolo degli sconosciuti, contribuiscono sensibilmente a ridurre gli spazi di libertà di movimento dei più piccoli ma i pericoli presunti o reali posti dall’ambiente non bastano a giustificare una tale inversione di rotta: quello che è cambiato è la concezione stessa del bambino, il quale viene considerato oggi come essere indifeso, incompetente, incapace, a dispetto dei tanti nomi importanti che ci invitano a riconoscere il bambino per quello che è: una persona dalle competenze commisurate alla propria età, alle proprie esperienze e all’educazione ricevuta. Ad essere minato, in fondo, è il rapporto di fiducia che riusciamo a intessere con i nostri bambini, con buona pace della qualità delle nostre relazioni.

Quali sono le conseguenze?

Privati della possibilità di vivere esperienze realmente autonome, i bambini faticano ad acquisire le regole relazionali e gli strumenti cognitivi necessari per gestire le relazioni con i loro pari e per affrontare le situazioni reali (Tonucci et al., 2002) e questo li espone maggiormente proprio a quei pericoli da cui vorremmo proteggerli. Lo stile di vita a cui li sottoponiamo poi, li rende sempre più esposti al fenomeno dell’obesità e a numerose patologie e disturbi che vanno da quelli visivi a quelli cardiocircolatori, mentre la crescente solitudine incide negativamente sulle relazioni, sul senso di comunità, sullo sviluppo delle competenze evolutive (Lopes et al., 2018; Shaw et al., 2015) e sulla crescita dell’autostima. Sempre più spesso si parla di giovani incapaci di relazionarsi positivamente con gli altri quando non addirittura isolati volontariamente dal resto del mondo: gli hikikomori italiani, ragazzi che trascorrono le giornate isolati nelle loro stanze, senza contatti col mondo esterno, sono circa 60.000 (dati Istituto Superiore di Sanità). Possiamo davvero pensare di non avere responsabilità in qualità di genitori ed educatori? Questi ragazzi sono proprio il frutto di una vita isolata, priva di autonomia e autodeterminazione e interamente regolata dall’esterno (dagli adulti). Al contrario, se il bambino ha la possibilità di muoversi fuori casa senza il controllo degli adulti mette alla prova le sue capacità di negoziazione del pericolo in termini di problem solving (Blakely, 1994; Davis et al., 1996), di conoscenza ambientale (Brown et al., 2008) e di relazioni sociali volte a costruire il senso di comunità (Love et al., 2020; Prezza et al., 2001; Riazi et al., 2018), che aiuta anche ad arricchire il rapporto familiare con la comunità stessa (Groves, 1997).

Va da sé che in qualità di educatori dovremmo interrogarci profondamente su quanto siamo disposti a lasciare che l’ambiente in cui viviamo e la nostra percezione dei rischi che esso pone influiscano negativamente sulla vita dei bambini (e spesso anche sulla nostra) e quanto siamo invece disposti a porci in aperta mediazione tra rischi e benefici che l’autonomia di movimento può esercitare sui bambini e le loro famiglie. Anche in questo, gli ambienti naturali possono rappresentare una chiave di svolta

per permettere ai bambini di sperimentare quell’autonomia che è così difficile da attuare in città. Cambiare le nostre abitudini e favorire la frequentazione di ambienti naturali piuttosto che di centri commerciali, ludoteche, bar e altri luoghi in città e al chiuso, ci può dare l’opportunità di sentirci al riparo dai pericoli del traffico e di dare autonomia ai bambini in un ambiente che peraltro risulta rigenerativo anche per noi. Incontrarsi al parco piuttosto che al bar, passeggiare nel bosco piuttosto che al centro commerciare, organizzare il compleanno all’aperto piuttosto che in una ludoteca e lasciare che i bambini si autoorganizzino assieme piuttosto che affidarli sempre e comunque all’animazione di un adulto è una questione di abitudine, ma è un cambio di paradigma che coinvolge il nostro approccio educativo a tutti i livelli perché sottende una presa di coscienza che migliora le nostre vite e quelle dei bambini dal punto di vista della salute fisica, mentale e sociale e induce” un cambio di rotta che restituisce ai bambini la dignità di persone, persone che non hanno bisogno di essere “animate”, aiutate continuamente anche contro la loro volontà e, peggio, servite in tutto e per tutto. La natura, oltre ad avere enormi funzioni protettive per la salute nostra e dei nostri bambini e a consentire l’acquisizione di importanti competenze motorie grazie alle asperità e ai dislivelli del terreno, alla possibilità di arrampicarsi, salire, scendere, saltare e correre, favorisce la fantasia, la socialità e di cooperazione fra bambini.

Avete mai notato quanto sono inclini alla collaborazione i bambini che giocano in ambiente naturale? Proprio come l’essere umano ha sempre fatto, i bambini in natura ripercorrono le tracce della nostra evoluzione attraverso le prime prove e i primi esperimenti di trasformazione dell’ambiente naturale per renderlo più compatibile con le proprie esigenze e, per farlo, devono collaborare: costruire tane, capanne, ponti, dighe, spostare grossi tronchi, massi o altri elementi che intralciano il luogo che i bambini stanno

immaginando o che sono più utili altrove, interrogarsi su ciò che li cordona, formulare ipotesi e discutere, sono solo alcune delle opportunità che la natura offre ai bambini, permettendo loro di entrare in relazione profonda con essa ma anche con le altre persone nel gruppo, costringendo a collaborare per spostare un peso o realizzare un progetto e a discutere per trovare accordi e giungere ad un immaginario condiviso. D’altro canto in natura, in luoghi privi di pericoli particolari come scarpate, inghiottitoi, fiumi ecc., noi genitori possiamo sentirci più inclini a permettere tutto questo e con uno sforzo ulteriore, regole chiare e semplici strumenti come un walkie talkie, possiamo fornire ai bambini l’autonomia per allontanarsi ed esplorare. Questi piccoli momenti di libertà possono rivelarsi fondamentali per aumentare la nostra fiducia nei bambini nonché la loro percezione del rischio e un maggiore autocontrollo, rendendoci sempre più disposti a replicare queste esperienze anche altrove, migliorando sensibilmente le vite dei bambini e aiutandoli a diventare più responsabili, a diventare grandi. “Ciascuno cresce solo se sognato”.

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