Tra le meduse della baia di Ieranto

Metti un sabato di gennaio a Napoli.

Metti che hai voglia di fare qualcosa ma hai anche bisogno di relax e riposo.

Metti che pensi alla montagna ma il resto della famiglia pensa al mare.

Cosa fai?

Semplice: scegli un luogo in cui mare e montagna si fondono in un paesaggio unico e spettacolare: un’escursione in penisola sorrentina!

Quella che abbiamo visitato é la famosissima baia di Ieranto, un luogo incredibile, quasi un fiordo, nascosto in questa lingua di terra che si spinge nel mare, segnando un confine naturale tra le province di Napoli e Salerno. L’isola di Capri e i suoi faraglioni sono là, a portata di vista e quasi sembrerebbe a portata di nuotata.

L’area é oggi un Sito di Interesse Comunitario ma sono ancora tristemente visibili le cicatrici inferte dall’intenso sfruttamento minerario che fino agli anni 50 cavò parte del costone roccioso a ridosso della torre Saracena. Tuttavia, ciò non è bastato ad annientare la bellezza di questo piccolo angolo di paradiso oggi gestito dal FAI e lo spettacolo vale sicuramente la trasferta.

Per raggiungere la Baia di Ieranto é necessario arrivare a Nerano, piccolo borgo di pescatori nel comune di Massa Lubrense, parcheggiare l’auto nei piccoli parcheggi all’ingresso del paese e imboccare a piedi la via Ieranto, segnata dalle caratteristiche strisce bianco-rosso del CAI e da una bella casa tinteggiata con il bianco e l’azzurro del mare.

Il primo tratto del sentiero è in piano ma molto stretto e se lo si percorre con i bambini bisogna fare un po’ di attenzione. Poco dopo aver superato la dimora di Norman Douglas, che proprio in questo luogo ambientò il suo romanzo “Siren land”, la terra delle sirene, le mitiche creature metà donna e metà uccello che dimoravano presso le vicine isole de Li Galli, si raggiungono i primi costoni rocciosi con le imponenti grotte dei Caprari sulla destra, mentre sulla sinistra lo sguardo si apre proprio sulle isole delle sirene e sul golfo di Salerno.

A questo punto il sentiero comincia a scendere dolcemente verso il mare fino a portarci sul lato opposto della penisola, quello che guarda verso Capri. Un cartello del FAI ci indica due direzioni opposte: a destra la spiaggia, a sinistra la torre di Montalto, punta Penna e la casa Colonica. É fondamentale NON proseguire verso destra perché il sentiero taglia dritto verso la baia ma la discesa lungo quella che era la scala dei minatori è ripida e a tratti pericolosa e l’attenzione che richiede non consente di apprezzare il panorama straordinario che ci circonda.

Proseguendo sulla sinistra invece il sentiero si allunga ma permette di raggiungere il mare con maggiore tranquillità. Da qui, la rigogliosa macchia mediterranea punteggiata da mirto, lentisco, cineraria e rosmarino lascia il posto al bellissimo uliveto della casa colonica. I muretti a secco disegnano le terrazze mentre gli ulivi lasciano di tanto in tanto il passo agli alberi di agrumi e ad alcuni carrubi secolari che già da soli meritano il viaggio. Noi non ci siamo lasciati sfuggire l’occasione di abbracciarli e stare un po’ con loro. Merli e occhiocotti ci accompagnano con il loro vociare mentre in alto scorgiamo il volo delle poiane e del corvo imperiale oltre a quello dei gabbiani.

Superata la casa colonica, il sentiero si biforca ancora, risalendo a sinistra verso la cinquecentesca torre di Mont’alto o scendendo a destra verso la cava e quel che resta delle strutture dedicate alle attività estrattive (tramogge, vasche, officina e polveriera) e verso la piccolissima spiaggia di Capitello. È qui che la strettissima insenatura si apre sui faraglioni, offrendo alla vista uno scorcio di impareggiabile bellezza. Racchiusa tra Punta Campanella e Punta Penna, Ieranto, dal greco Ieros (luogo sacro), è quel tratto di mare in cui Ulisse incontrò le Sirene durante il suo viaggio di ritorno verso Itaca e non stupisce che proprio qui Omero ambientò questo incontro.

La natura geologica del territorio regala un paesaggio aspro e straordinario, le onde di un mare dalle mille sfumature di blu si infrangono su una scogliera verticale riccamente frastagliata e il fondale, come è facile intuire, è ricchissimo di ogni forma di vita. Durante la nostra escursione abbiamo avuto la fortuna di osservare centinaia di meduse luminose, pelagia noctiluca, trasportate a riva dalla corrente. Come suggerito dal loro stesso nome, infatti, questi straordinari animali sono comuni nel Mar Mediterraneo ma hanno abitudini pelagiche e non è sempre semplice vederle.

In primavera e autunno però, complici le correnti, si avvicinano alla costa rimanendo spesso spiaggiate, dandoci la possibilità di osservarle da vicino. La particolarissima struttura corporea ha valso loro il nome inglese generico di jellyfish, “pesci di gelatina”, ma questi animali non hanno davvero nulla a che fare con i pesci se non il fatto che condividono con loro il mare e che se ne giovano mangiandoli. Ma ciò che rende davvero speciali le meduse luminose è la loro capacità di essere bioluminescenti, ovvero di emettere luce attraverso particolari reazioni chimiche, nel corso delle quali l’energia chimica viene convertita in energia luminosa.

Pensate che spettacolo osservare i loro bagliori verdi di notte, appena sotto il pelo dell’acqua…

Appena più in la, nascosta dal mare ma ben riconoscibile nelle macchie scure che si osservano arrivando dall’alto, la posidonia oceanica forma ampie praterie sottomarine che regolano i livelli di ossigeno e anidride carbonica nell’acqua e offrono risorse vitali a un incalcolabile numero di altre specie:

donzelle, labridi, tordi, scorfani, pesci ago, cavallucci marini, corvine e gamberetti sono solo alcuni degli animali che popolano queste comunità sommerse, veri e propri hotspot di biodiversità e ambienti strategici per garantire gli equilibri ecosistemici marini. Percorriamo avanti e indietro la piccola spiaggia di capitello alla ricerca dei tesori portati dal mare, rimandiamo in acqua le meduse ancora vive e le guardiamo allontanarsi in balia della corrente immaginando di lasciarci trasportare con loro alla scoperta di quel tesoro immenso che la baia di Ieranto ti lascia solo intravedere. Fa ancora freddo, ma noi già progettiamo di tornare con maschera e pinne.

Quella per la baia di Ieranto non è una passeggiata ma un’escursione vera e propria che rende necessario un buon equipaggiamento (una volta intrapreso il percorso non si incontrano fontane, servizi o punti ristoro) e un livello di allenamento adeguato. Se la discesa infatti è piacevole, la risalita dalla spiaggia di Capitello a Nerano non è banale: 280 metri di dislivello concentrati in appena 1,8 km di salita e quasi interamente esposti al sole. I periodi ideali per visitarla dunque sono l’inizio della primavera e l’autunno, a meno che non si voglia fare un tuffo con maschera e pinne nel blu della baia.

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