Come astronauti

“Mamma, sembra il mare!” “Non è il mare Maty, è la valle dell’Isclero. Prima eravamo laggiù, vedi?” “Come è diverso da qui…”

La miopia è un difetto della vista che ci permette di mettere a fuoco solo ciò che è vicino, mentre il resto appare sfocato, confuso… invisibile fino a che non viene più preso in considerazione. Ma ció che è invisibile esiste a prescindere da noi e puó comunque condizionare le nostre vite ed esserne condizionato.
La miopia non attacca solo gli occhi, di miopia si ammala anche la mente. La mente che non viaggia, che non legge, che riceve troppe risposte e poche domande, che non si allena a considerare l’altro da sé e che frequenta sempre gli stessi luoghi, le stesse circostanze, col passare del tempo si ammala e il suo “campo visivo” si restringe progressivamente fino ad escludere tutto ció che è distante e che pure esiste. Semplicemente, non lo pensa più.

Quando questo accade non siamo più in grado di valutare la realtà, di dare il giusto peso alle cose, di considerare anche ció che non vediamo e di capire come influisce su di noi (e viceversa), di mettere i fatti nella giusta scala di priorità. Il nostro mondo si rimpicciolisce, diviene sempre meno complesso e la nostra capacità di giudizio diviene incapace. Questo si traduce in un approccio escludente, in un egoismo crescente che si esprime nelle scelte del qui ed ora, nell’incapacità di prendere decisioni indipendenti, vantaggiose e in linea con il nostro tempo, nella contrazione della nostra stessa libertà.

I bambini sono i soggetti più a rischio. Con le loro vite al chiuso, iperprogrammate, ripetitive, iperabitudinarie, sature di schermi e di risposte, sature di bisogni soddisfatti ancora prima di essere percepiti, i bambini sono quelli che meno di tutti vengono a contatto col mondo, con il complesso, con l’imprevisto, con il cambiamento, con l’altro da sé e dalla propria piccola realtà e il mondo, l’esterno, il diverso, scompaiono dalle loro considerazioni o divengono qualcosa di cui avere timore, qualcosa da cui proteggersi e, quindi, da eliminare. Le vite dei bimbi di oggi sono così. Sono piccole, strette, sature di oggetti e povere di scelte, di relazioni e di problemi da risolvere autonomamente. Così assieme alle menti si contraggono le capacità di essere resilienti e le possibilità di futuro.

Ma in un mondo in continuo e repentino cambiamento l’obiettivo di ogni educatore dovrebbe essere proprio quello di educare alla complessità, alla diversità, al cambiamento, al sommerso, all’ampiezza di vedute, alla cura delle relazioni (tra le persone, tra le specie, tra i fenomeni, tra i problemi ecc), alla consapevolezza del fuori da sé e del proprio posto in questo fuori. Al pensiero ecologico.

Mi vengono in mente alcuni film sugli exaterrestri in cui gli alieni vengono immaginati con menti connesse tra di loro come fossero un superorganismo. Una simile immagine è di grande ispirazione e rappresenta bene uno dei grandi obiettivi dell’educazione ambientale: quello di ricostruire e rendere manifeste le relazioni che intratteniamo col mondo pur senza rendercene conto. Imparare a considerarci parte di un unico sistema vuol dire comprendere che abbiamo effetti su di esso ed esso su di noi e ci puó rendere competenti e intelligenti nelle scelte e nelle azioni migliorando, questo si, le nostre vite qui ed ora. In primo luogo perché vedere più cose rende tutto più interessante, ci diverte e ci sollecita, e poi perchè un simile approccio ci permette di non sentirci impotenti di fronte a ció che accade ma, al contrario, ci rende partecipi, curiosi, volenterosi, riflessivi. Percepiamo di avere peso sulle nostre vite e di contare qualcosa in questo mondo pur senza essere famosi e ci fa ridefinire necessità e bisogni traducendosi in un risparmio di soldi, di sforzi, di lavoro, di risorse. Un simile approccio ci risveglia, ci rivitalizza e ci anima di nuove idee, di nuove aspirazioni e di nuova forza. Ci fa stare meglio. Immaginate le persone che sono state travolte improvvisamente da una catastrofe come un terremoto, una guerra, un’eruzione: chi ha trovato maggiore forza per andare avanti, quelli che si sono resi partecipi aiutando a cercare i dispersi, a fornire aiuto, a ricostruire o quelli che sono rimasti immobili e paralizzati di fronte agli eventi? Quelli che hanno compreso che non avevano realmente bisogno di tutto ció che possedevano o quelli che hanno continuato a piangere per ció che non hanno più?

Educare i bambini ad un approccio attivo, partecipativo, consapevole, ecologico ed economico è necessario ed è utile tanto al loro presente quanto al loro futuro ma per farlo bisogna cambiare radicalmente le loro e le nostre vite e aiutarli a frequentare il fuori piuttosto che il dentro, il complesso piuttosto che il semplice, l’ambiente naturale piuttosto che quello costruito, le relazioni piuttosto che gli oggetti, le domande piuttosto che le risposte, i problemi piuttosto che le soluzioni. È necessario fargli sperimentare il fuori di casa, il fuori da sé, il fuori dalla propria comfort zone, anche il fuori controllo, inteso come fuori dal controllo costante e oppressivo dell’adulto, il fuori dalla prospettiva conosciuta. Se il mondo così come lo vediamo è una nostra costruzione personale e la realtà che si percepisce è sempre un’interpretazione soggettiva, allora cambiare prospettiva vuol dire cambiare la realtà e comprendere che il significato possibile non è mai uno solo e i fatti hanno bisogno di essere osservati dalla posizione più lontana possibile per poter essere interpretati nella loro pienezza e nella loro complessità. Lo stesso evento, lo stesso oggetto, la stessa persona, hanno infiniti punti di osservazione e in base al punto di vista che scegliamo determiniamo l’immagine che vediamo e anche la qualità delle nostre scelte e delle nostre vite.

Se potessimo osservare il mondo dall’alto come un astronauta, allora tutto ci apparirebbe relativo, capiremmo con un solo colpo d’occhio che non siamo grandi come ci sembra, che siamo esseri viventi tra gli altri e che i nostri problemi sono spesso non-problemi, che abbiamo una sola casa le cui porte non possono essere chiuse e gli unici confini sono quelli che ci pone la miopia della mente. Del resto ce lo ha detto proprio un astronauta vero: “Guardare il mondo dalla Cupola è indescrivibile. Si ha il senso di fragilità del pianeta terra, con la sua atmosfera sottilissima, e dell’incredibile bellezza di questo gioiello sospeso nel velluto nero dello spazio. Mai come nello spazio ti accorgi che i confini non esistono. Dall’alto l’Europa é un reticolo di luci, collegamenti, i cui confini sono solo dentro le menti delle persone” (L. Parmitano). In una realtà in cui “essere fuori di sé” assume un significato tutto negativo, dovremmo invece esercitarci ad acquisire la capacità di stare fuori. Fuori dalle nostre convinzioni, fuori dalle nostre convenzioni, fuori dalle nostre gabbie di mattoni e di visioni, fuori dalle nostre abitudini e dai nostri automatismi, fuori dalle nostre comodità. Perché è solo uscendo fuori che entriamo in contatto con l’altro, col mondo.

Diciamocelo: puó essere destabilizzante. Puó essere destabilizzante perchè ribalta il nostro assetto culturale cartesiano basato sulle certezze, sulla semplificazione e sulla compartimentazione e ci consegna la consapevolezza dell’incertezza, della complessità, della relatività e della connessione del tutto. Ma il mondo è proprio così: complesso, connesso, instabile e solo una formazione ecologica pió renderci in grado di abitarlo.

Per questo faccio in modo che i miei bambini (mio figlio ma anche i tanti bambini che coinvolgo nei progetti di educazione ambientale) escano dalle proprie abitudini, incontrino il fuori magnifico e suscitante della natura, imparino a cambiare prospettiva e a considerare il mondo con occhi diversi (quelli dell’astronauta che deve lasciare la terra per poterla studiare e comprendere, quelli dell’escursionista che deve conquistare la vetta con fatica per vedere il mondo dall’alto, quelli del girino che deve traformarsi per affrancarsi dall’acqua, quelli della giovane aquila che deve abbandonare il nido saltando nel vuoto per imparare a volare). Tutti loro affronteranno un cambiamento e nessuno di loro sa dove li porterà, ma tutti acquisiranno qualcosa che prima era fuori dalla propria portata e dalla propria immaginazione. Una nuova prospettiva, una nuova consapevolezza, un respiro più profondo, una visione più ampia delle cose. In una parola: una crescita interiore. Non possiamo allevare bambini indolenti in un mondo che cambia e che ha bisogno di protagonismo e consapevolezza. Dobbiamo allevare bambini curiosi, intrepidi e coraggiosi come astronauti.

Il termine prospettiva, del resto, significa anche possibilità, insieme di circostanze future che si possono prevedere. E noi che prospettive vogliamo per il loro futuro?

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