Ode alla migrazione degli uccelli

Tratto da “Poesie 1924-1964” di Pablo Neruda, Edizioni BUR Biblioteca Universale Rizzoli

Sulla linea del mare

verso il Grande Nord
un fiume dilatato nel cielo:
sono gli uccelli del Sud, del vento freddo,
che vengono dalle isole, dalla neve:
i falchi dell’antartico,
i cormorani vestiti a lutto,
le procellarie australi dell’esilio.
E verso le rocce gialle del Perù,

verso le acque infuocate della Bassa California

l’incessante fiume degli uccelli vola.
Ne appare uno,
è un punto smarrito nello spazio aperto delle nebbie:
dietro vanno le coorti silenziose,

la massa delle piume,
il tremulo triangolo che corre sopra l’oceano freddo,
la sacra fiumana palpitante,
la freccia della nave migratoria.

Cadaveri di uccelli marini
caddero sulla sabbia,
piccoli fagotti neri racchiusi dalle ali brunite

come bare fabbricate nel cielo.
E accanto alle  falangi contratte su l’inutile sabbia,
il mare,
il mare che continua,
il tuono bianco e verde delle onde,
l’eternità burrascosa del cielo.

Passano gli uccelli,

come l’amore,
cercando fuoco,
volando via dall’abbandono
verso la luce e le germinazioni,
uniti nel volo della vita,
e sulla linea e le schiume della costa
gli uccelli che cambiano pianeta
colmano il mare del loro silenzio d’ali.


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